I ricercatori potrebbero aver trovato la risposta alla domanda su come il virus HIV persiste nel corpo, e la sua replicazione riprende qualora il trattamento viene interrotto.
Hanno recentemente scoperto che le cellule staminali T di memoria potrebbero funzionare da serbatoio virale a lungo termine, e possono diventare dei potenziali obiettivi per il futuro trattamento dell’HIV.
L’autore dello studio, il Dott. Mathias Lichterfeld della Divisione Malattie Infettive di MGH, ci spiega che la maggior parte delle cellule umane hanno una breve vita, così non è stato chiaro (finora) come l’HIV riesce a restare nell’organismo per decenni, a dispetto di molto efficaci trattamenti antivirali.
Lichterfeld ha continuato dicendo che tale domanda ha portato all’ipotesi che l’HIV possa infettare le cellule staminali, le cellule più duraturi nel corpo umano. La cosa strana è che ma le tradizionali cellule staminali organo-specifiche, persino quelle che danno origine a tutte le cellule del sistema immunitario e del sangue, sono resistenti al virus HIV. Ecco dunque che si arriva a sostenere che un nuovo gruppo di cellule T, chiamate cellule staminali T di memoria, sono suscettibili all’HIV e probabilmente rappresentano la nicchia cellulare dove si nasconde appunto tale virus.
Il team MGH/Ragon ha scoperto anche che le cellule staminali di memoria T esprimono sia CD4 e CCR5 – le proteine dei recettori utilizzati dal virus HIV onde entrare nelle cellule – il che suggerisce che queste cellule a lunga vita potrebbe essere il tanto ricercato serbatoio dell’HIV.
Andando avanti nella ricerca hanno scoperto che queste cellule possono essere facilmente infettati con HIV il che è stato inaspettato viste le considerazioni sino ad allora. I ricercatori hanno scoperto, addirittura, che i livelli di DNA dell’HIV nei pazienti che ricevono un trattamento antivirale a lungo termine erano più alti nelle cellule staminali T di memoria.
Test campioni di sangue che sono stati prelevati dai pazienti subito dopo l’infezione iniziale e una seconda volta alcuni anni dopo ci hanno rivelato che le sequenze virali presenti nelle cellule staminali T di memoria dopo ben 6-10 anni di trattamento erano simili a quelli riscontrati nelle cellule T circolanti subito dopo l’infezione, indicando che HIV aveva persistito relativamente invariato in queste cellule.
Inoltre, la quantità di DNA HIV in queste cellule è rimasta relativamente stabile nel tempo, anche dopo il trattamento a lungo termine che aveva causato un calo dei livelli virali negli altri sottogruppi delle cellule T.
Lo studio sarà pubblicato online sulla rivista Nature Medicine!